Con le ragazze, fino all'età di 15 anni dormivo della grossa. Per i risultati che ho avuto dopo che mi sono svegliato, sarebbe stato meglio se avessi continuato a dormire, così almeno non avrei sofferto. Proprio non le cercavo, e neppure uscivo di casa alla sera. Una situazione anomala a tal punto che mio padre, noto malandrino, fece notare con estrema sensibilità a mia madre: "Un sorta mai, sarà nurmal? Sarà mia iun d'quei là, mache se s'ciamen, uomosessuali?" TRAD: "Non esce mai, sarà normale? Avrò mica un figlio finocchio?" Era solo questione di ore. Infatti due giorni dopo uscii di casa, in vespa, e rincasai alle 23. La sera seguente rincasai all'una di notte e la terza sera, che era una domenica, rincasai a motore e luci spente alle quattro e mezza del mattino. Mio padre mi fece notare che neppure così andava tanto bene ed infatti, sebbene quell’estate uscii 90 giorni consecutivamente, normalizzai il rientro ad un'ora accettabile.

Nel 1985 con la mia fida Vespa 50 del 1974 (rossa, 3 marce, allora ancora non elaborata) ho varcato le montagne rocciose e ho "puciato" le ruote nel Pacifico. In quel periodo (83-87) la vespa era il massimo della vita. Io la ereditai praticamente nuova da mia sorella, di alcuni anni più grande, che la usò quell'unica volta che si imbelinò nel fosso non sapendo usare i freni. Me la ritrovai con una bella ammaccatura ma non era che la prima di una lunga serie. Per i primi due/tre anni nessun incidente, e di ciò mi vantavo con gli amici della compagnia. A 17 anni, sarà un caso, ma inaugurai una serie di voli spettacolari a cadenza pressochè settimanale. Comunque lassù o laggiù qualcuno mi amava e i danni fisici sono sempre stati sufficientemente limitati. Nel frattempo insieme a me cresceva anche la cilindrata della vespa, mentre a me spuntava la barba a lei spuntavano gli accessori che portavano via tutti gli introiti mensili (copriruota, fox, sella yankee, cupolino, muso da 125, fari maggiorati, portapacchi, fino ad arrivare alla mitica motoradio, ed oltre).

Sempre in quel periodo c'erano due cose scandalosamente affascinanti: la musica e le ragazze. Sono un cultore ed esperto della disco music anni 80. Semplicemente fantastica. Le ragazze invece erano difficili da reperire. Nella mia contea dal '69 al '71 vi fu probabilmente una fuga di una qualche sostanza chimica non ben identificata che portò i nostri genitori a procreare quasi esclusivamente figli maschi. Le ragazze che mi piacevano erano inesorabilmente preda dei cucadores che si vestivano da veri galli, Timberland originali che lasciavano il marchio nell'impronta, piumino Moncler anche d'estate, e via di questo passo. Ebbene sì: anche nella nostra sperduta contea (sul confine fra il Piemonte ed il Messico) era arrivata, senza nessun ritardo, l'apocalittica moda dei paninari. Per quelli come me era una vera tragedia. Adeguarsi per non soccombere. Qualcuno di voi si ricorda le calze corte fluorescenti? Il minimo era abbinarle di colori diversi, verde pisello ed arancione, ad esempio. Ed i jeans bianchi e la magliettina azzurra di Valentino? El charro? Armani Durango Best Company ecc ecc Le sfitinzie compilavano le classifiche di preferenza facendo una media fra il numero di vocaboli da paninaro che usavi in una frase ed il valore dell'abbigliamento. Ora c'è da sorridere, ma allora c'era da spendere, perciò cercavo pochi capi originali e qualificanti, anche perchè gli oggetti taroccati erano subito scoperti e ci si faceva una figura da truzzo o sfighi. La contea confinante Tortona è sempre stata, diciamo così, un po' altezzosa, ed i figli di papà si potevano finalmente sfogare con la moda che sembrava fatta su misura per loro. Mi sono sempre chiesto infatti se il "paninarismo" è nato in piazza Liberty a Milano o in via Carducci a Tortona.

Lo Xenon (ex Topkapi) e subito dopo il Mayer sono stati i nostri rifugi. La domenica pomeriggio, d'inverno, era abitudine recarsi nelle cantine di Fanelli, dove appunto si trovava lo Xenon. Si partiva alle 15, in due o tre per vespa, passando per le stradine di campagna per evitere i carabinieri. Si arrivava con i capelli ghiacciati (allora non si usava il casco) e le dita blu attaccate alle leve del manubrio. Si entrava sperando nel calore di qualche ragazza. Si usciva senza aver combinato niente. Due vasche sotto i portici e poi il ritorno, per la stessa strada ghiacciata e resa viscida dalla nebbia serale.

Vai a foto di famiglia e del diario del daffino